Per cosa sarà ricordata la legislatura che sta per giungere al giro di boa? E’ ancora presto per dirlo anche se i contorni cominciano a delinearsi al crescere delle tensioni e delle fibrillazioni politiche che hanno assillato la maggioranza negli ultimi mesi e che lasciano presagire non ci sia tanta carne da aggiungere al tenue fuoco della numerosa e sgangherata compagine governativa.
Sono i contorni di una legislatura del “tiriamo a campare” secondo un copione fatto di proclami, di grandi aspettative agitate di fronte all’opinione pubblica che paiono però più utili a distogliere l’attenzione dalla pochezza della proposta politica e della progettualità.
E’ stata indubbiamente la legislatura della pandemia e questo non va certo dimenticato in un’analisi che abbia il presupposto dell’onestà; la pandemia è stata un ostacolo in più posto sulla strada di un Paese che si trova nel bel mezzo di un percorso molto accidentato.
Dal punto di vista economico e della politica di bilancio, al momento è la legislatura delle non scelte, le riforme vengono enunciate ma non si intravvede una reale volontà politica di attuarle, si è contratto un enorme debito estero e anche il più ottimista degli osservatori non comprende come faremo, non tanto a ripagarlo che sarebbe un sogno, ma anche solo a sostenerlo, ad accollarci tutti gli anni la spesa per gli interessi che probabilmente, visto l’andazzo della politica monetaria mondiale, saranno a tassi sempre più alti. Su questo fronte, dopo il roboante annuncio della coniazione del “Titano”, la nuova valuta virtuale targata RSM da parte degli economisti di Rete che è subito scomparsa dai radar nell’imbarazzo generale, nessun segnale è pervenuto da maggioranza e governo.
Il manifatturiero cresce, questo è un segnale positivo, ma non è merito del governo e per sostenere il nostro debito dovrebbe crescere a doppia cifra, obiettivo dal quale siamo purtroppo ben lontani. Cosa si stia aspettando per mettere mano alle riforme non lo si capisce (o forse lo si capisce anche troppo bene), fatto sta che il fattore tempo non è una variabile secondaria e può, da solo, determinare il successo o il fallimento di una scommessa politica assai azzardata come quella di un pesante indebitamento estero.
Dal punto di vista della politica sanitaria siamo sotto zero, la sanità è finita al centro di una disputa tutta interna alla maggioranza. Al netto delle oggettive difficoltà dovute al coronavirus è ormai evidente a tutti che non è la pandemia il problema del nostro ospedale, la pandemia ha forse accelerato alcune criticità ma quello che sta venendo a galla è un sistema dirigenziale fortemente politicizzato, molto conflittuale, che antepone interessi partitici a quelli generali causando l’incapacità cronica nel fornire risposte alla salute pubblica. I cittadini stanno pagando questa situazione sulla loro pelle con disagi intollerabili in uno stato di diritto che ledono palesemente i diritti fondamentali e la nostra carta costituzionale. Qualcuno dovrà rispondere di queste gravissime responsabilità.
La politica estera, che dovrebbe essere il motore di un micro Stato, registra il solito stanco dibattito sull’accordo di associazione all’Unione Europea, tutti concordi a parole ma poi di passi avanti se ne vedono pochi. Dibattito ormai logoro e consunto da una retorica disarmante: intanto nell’indifferenza generale, alcuni Paesi UE hanno blindato i loro confini, costruito muri, ripristinato la cortina di ferro per condannare alla morte di stenti e di freddo un manipolo di migranti inermi tra i quali molti bambini, portati fino a quei confini da regimi dai tratti feroci.
Il dibattito e le risorse consigliari (umane e finanziarie) si sono concentrati sulla Commissione d’Inchiesta sulle banche. Una marea di sedute che avrebbero dovuto fare luce sulle crisi bancarie degli ultimi vent’anni. Questo è stato il tratto caratterizzante della legislatura visto dalla prospettiva di un Consigliere. Ne sono uscite due relazioni ma soprattutto due Ordini del Giorno approvati dal Consiglio Grande e Generale (dalla maggioranza) che ingigantiscono alcuni aspetti trascurandone palesemente altri non meno importanti: trattandosi di pronunce di carattere politico questo non stupisce, è il tentativo, vecchio come il mondo, di piegare i fatti alle proprie esigenze politiche del momento. Si cerca di scrivere la storia a proprio uso e consumo. E’ così dai tempi della Roma repubblicana, sono esercizi dal respiro corto e soprattutto del tutto insufficienti a riempire il vuoto di idee e di proposte che una maggioranza numericamente così ampia sta palesando ogni giorno di più.
La legislatura è giunta a metà strada, c’è ancora un po’ di tempo per fare cose utili… ma non troppo.