Vedo che con accalorata passione, sia nei giorni scorsi che oggi in aula, l’opposizione interviene con preoccupazione sulla nostra situazione economica, facendo riferimento alla posizione non soddisfacente che il San Marino ha nella classifica Doing Business 2018.
Vorrei tranquillizzarla in qualche misura, non con considerazioni politicamente interessate, ma con dei numeri. Infatti l’indice Doing Business, che misura l’attrattività di un paese verso investimenti esteri e la facilità di creazione di impresa, è basato su misurazioni e numeri, non su opinioni.
Il primo aspetto importante è questo: bisogna fare attenzione a non caricare di eccessivo significato le variazioni di posizione nella classifica. L’indice è costruito dalla somma di molti indicatori, ed essi assumono valori molto simili in tutti i paesi e piccole variazioni possono facilmente far perdere o guadagnare posizioni senza che ci siano state particolari riforme o eventi rilevanti di natura giuridica o economica.
Facendo un esempio concreto riguardo al nostro paese, vediamo ad esempio che sul pagamento delle tasse gli indicatori di San Marino sono sostanzialmente gli stessi, le tasse e le esenzioni per le imprese sono rimaste simili negli ultimi anni, eppure siamo passati dalla 14esima alla 40esima posizione.
Sull’accesso al credito i parametri degli ultimi 4 anni, sono identici. Siamo praticamente in fondo alla classifica. Ho fatto un piccolo calcolo, e se in questo particolare aspetto avessimo lo stesso ranking dell’Italia, che non è propriamente un esempio dei migliori sistemi creditizi al mondo, saremmo quasi venti posizioni avanti nel ranking.
Di fatto la situazione di San Marino è tale che il punteggio nelle singole categorie che vanno a costruire il valore dell’indice Doing Business, sono molto simili negli ultimi 4 anni. Questo significa una cosa molto semplice: che mentre la nostra situazione è rimasta pressoché invariata, gli altri sono migliorati.
Facendo un raffronto con la vicina Italia nell’ambito delle norme per la regolazione delle dispute commerciali, dei fallimenti, per la gestione delle insolvenze, vediamo come l’Italia abbia guadagnato 6 posizioni per quanto riguarda la risoluzione delle insolvenze e 36 posizioni nella risoluzione delle dispute commerciali. L’Italia ha fatto un balzo in avanti notevole per avere implementato la riforma che introduce l’obbligo da parte dei Tribunali di adottare la digitalizzazione degli atti e dei documenti con archiviazione elettronica e la creazione di fascicoli elettronici completi.
L’effetto nel rapporto Doing Business per l’anno 2017 è notevole: l’Italia conferma buone posizioni di classifica per quanto riguarda la costituzione delle società, per effetto della semplificazione e rapidità del procedimento (un giorno o poco più) e nei trasferimenti immobiliari.
In tale ambito, in ragione anche della qualità della infrastruttura economica e la sicurezza giuridica, la posizione ottenuta dall’Italia è particolarmente alta nella classifica mondiale: 6a su 190 (migliore di Olanda, Stati Uniti, Regno Unito, Germania, Francia, Giappone, Spagna, Canada). Ha recuperato 60 posizioni a partire dal 2012 grazie anche alle comunicazioni telematiche.
È evidente che nessuno apre una fabbrica in un paese solo sulla base di un indice sintetico della qualità delle leggi e delle regole, ma è un primo metro di giudizio e pertanto di grande importanza per i paesi, soprattutto emergenti e in via di sviluppo.
Non sorprende perciò che Colombia, Sierra Leone e Ruanda abbiano creato apposite commissioni che
agiscono proprio per migliorare gli indicatori e sotto-indicatori di Doing Business e quindi il ranking nazionale.
Questo è sicuramente un aspetto su cui il nostro paese deve lavorare molto e su cui nulla è stato fatto negli ultimi anni, e cioè:
- Migliorare la qualità delle leggi e migliorare la pubblicazione di testi coordinati; spesso è difficile orientarsi tra leggi e decreti che parzialmente si sovrappongono in ambito economico e del diritto concorsuale (corrispondente al diritto fallimentare in Italia che ancora è basato su una legge del 1917 e poche e sporadiche modifiche successive)
- La tecnologia a supporto del sistema giudiziario: non abbiamo un moderno sistema per accedere a sentenze, documenti, fascicoli ed atti: a livello tecnologico il nostro sistema giudiziario è uno dei più arretrati al mondo
Per quanto riguarda le mancate riforme che qualcuno attribuisce al governo, direi che un minimo di senso della realtà bisognerebbe averlo.
Anche pensando che dal primo giorno di insediamento il governo avesse fatto grandi riforme, nonostante tutti i problemi del sistema bancario, chiunque sa che qualunque riforma nel mercato del lavoro e nel sistema di controllo e gestione delle attività economiche, ha bisogno di una certa quantità di tempo per ottenere i suoi effetti. Tanto più guardando all’estrema concretezza con cui l’indice DB è fatto, cioè guardando all’effettiva implementazione delle riforme, più che al loro annuncio. Quindi questa critica è evidentemente pretestuosa e fuori dalla realtà.
Noi abbiamo problemi di mentalità, e questi di solito sono i più difficili da risolvere.
Il nostro paese è estremamente conservatore: ogni cambiamento, anche se cerca di mirare al miglioramento, è visto con sospetto. Ogni progresso è osteggiato, ogni modifica è vista male e si guarda più al fastidio che può dare che al miglioramento in prospettiva che può portare.
Credo che accusare il governo di non fare nulla per migliorare il nostro paese e contemporaneamente avere un tipo di atteggiamento in cui tutto ciò che propone la maggioranza e il governo è sbagliato, è sospetto, è insufficiente sia un tantino contradditorio.
La musica politica è un po’ sempre la stessa: se si porta qualcosa, è calato dall’alto e non è condiviso, quindi è sbagliato. Se non si porta, il governo non ha idee.
Credo che il paese abbia bisogno di un progetto di ampio respiro, organico, non di leggi spot staccate tra loro; un progetto per disegnare le direttrici dello sviluppo per i prossimi anni, e il piano di stabilità che il governo presenterà tra un mese sarà lo strumento fondamentale per percorrere questo percorso.
Bisogna avere il coraggio di affrontare i problemi che nel tempo si sono accumulati nel nostro paese. Un cambio epocale di modello di sviluppo che ci obbliga ad affrontare quello che finora non era mai stato affrontato: è questo che ci dà prima di tutto credibilità.
Questi temi sono in cima sicuramente ai miei pensieri e credo a quelli di tutta la maggioranza e del governo. Non è infatti la mancanza di problemi che dà in assoluto la credibilità ad un paese. Tutti i paesi, o quasi, hanno svariate problematiche e il nostro può offrire ancora ai suoi concittadini un certo livello di benessere e sicurezza.
La credibilità, dicevo, non dipende dai problemi che si hanno ma da due fattori fondamentali:
1) La volontà di affrontare i problemi e non nasconderli
2) L’elaborazione di un piano serio e credibile per il loro superamento
E l’ultima visita del FMI ci ha accreditato di questo atteggiamento: i delegati FMI sono rimasti particolarmente e positivamente colpiti dalla volontà e decisione dimostrate nell’affrontare la difficile congiuntura economica. È stato un riconoscimento indiscutibile, confermato sia nella relazione ufficiale sia nei colloqui informali avvenuti nei giorni della visita, riconoscimento con cui poi dovremo fare i conti nei prossimi anni in cui FMI verificherà l’effettivo mantenimento dei propositi espressi.
È questo atteggiamento e volontà, e solo questi, che ci faranno uscire dall’attuale situazione e vedere il futuro con speranza.
A questo proposito vorrei citare il caso del Portogallo.
Nel maggio del 2011, il governo portoghese chiede all’Europa un programma di aiuti pari a 78 miliardi di euro. Questo piccolo paese, il cui PIL è appena un settimo di quello italiano, con un sistema industriale debole e grandi problemi nel sistema bancario/finanziario, era praticamente fallito: nessuno avrebbe scommesso 1 centesimo sul Portogallo, dopo la recente esperienza tragica della Grecia. Questo paese però non ha nascosto i problemi ed ha avuto il coraggio di fare riforme molto dure, tra l’altro con un governo di sinistra. Cosa è successo? Nel 2015, appena 4 anni dopo, la crescita era il doppio di quella italiana, le spese erano scese, il deficit pubblico era passato dall’11% al 2%.
La ripresa è stata veloce, talmente veloce che i prestiti sono stati restituiti prima del dovuto, il saldo primario è il secondo in Europa, e le parti più odiose delle riforme lacrime e sangue sono state abolite, ritornando alla situazione pre-crisi.
Non è tutto risolto, il Portogallo continua ad avere diversi problemi ma il paese guarda al futuro con ottimismo, sapendo che collaborando assieme e facendo squadra, anche accettando sacrifici, si vince.
Il Portogallo, considerato cenerentola d’Europa, ha acquisito credibilità in poco tempo con i fatti.
Vogliamo collaborare assieme per percorrere la stessa strada o essere divisi? Non sarebbe il caso di smettere di fare continui allarmismi per capitalizzare qualche piccolo vantaggio politico e lavorare piuttosto per affrontare a viso aperto le sfide che abbiamo di fronte? Io credo di sì.
Se il Portogallo è riuscito ad uscire da una situazione molto difficile, perché noi non possiamo farcela? Spero che il paese, le parti sociali, la politica intera capiscano questo spirito e tutti assieme possiamo fare il salto di qualità che ancora ci manca.