I ragionamenti che voglio provare a portare in questo dibattito partono da un assunto: sono in una posizione di privilegio, sono proprio fortunato.
Un anno fa ero Capitano Reggente, ho presieduto importanti consessi, ho potuto accedere a una serie di atti e ho potuto ascoltare anche una serie di figure istituzionali di rilievo. Ho potuto farmi una mia opinione, né giusta né sbagliata, semplicemente mia.
Sono fortunato perché, rispetto agli altri 50 consiglieri che hanno contribuito a nominare 10 nostri colleghi consiglieri in Commissione Affari di Giustizia, non sono all’oscuro di ciò che lì dentro, da più di un anno a questa parte, succede. Ho letto, ho potuto sapere e ho provato a capire.
E dire che la legge che istituisce la Commissione obbliga la stessa a riferire al Consiglio (quindi ai consiglieri) di ogni sua attività. Che lo spirito della legge fosse chiara è lapalissiano, come è chiaro che un cda risponda all’assemblea dei soci che lo nomina, scusate l’improprio accostamento. Eppure a oggi, solo alcuni nominati (neanche fossero eletti) sanno cosa sta succedendo in quello scenario che dai più è stato definito come “uno scontro mai visto fra poteri dello Stato”. Tema evidentemente, non di pertinenza dei rappresentanti dei cittadini (noi sì, ELETTI). Almeno secondo l’opposizione chi si è opposta all’accesso agli atti da parte dei consiglieri,
Vi dicevo che sono fortunato.
E sono pure fortunato perché ho assistito ad accesi Consigli Giudiziari Plenari dove si è parlato di temi di un peso e di un’importanza inaudita. Giudici e politici, nella stessa aula, a confrontarsi su quanto (e se) la politica, anzi qualcuno fra i politici, avesse invaso il campo limitrofo, o su quanto la magistratura, o meglio qualcuno fra i magistrati, avesse invaso il campo limitrofo, quello della politica.
Sono più fortunato persino dei 10 colleghi consiglieri membri della Commissione Affari di Giustizia, poiché ho presieduto, in quel semestre, persino un Consiglio Giudiziario Ordinario, composto da soli giudici, dove la condotta del Magistrato Dirigente è stata giudicata solo da suoi colleghi.
Altro che politica che invade l’autonomia della magistratura!
In quel contesto la Magistratura si è espressa (ad ampia maggioranza), e questo è noto poiché quel passaggio è stato proprio richiesto dal Consiglio Giudiziario Plenario, per esprimere quello che deve essere un confine chiaro e inviolabile oltre il quale si configura il problema opposto, ovvero che la magistratura possa porgere il fianco alle strumentalizzazioni politiche.
Limite, secondo loro, i magistrati del consiglio giudiziario ordinario, oltrepassato dal magistrato dirigente.
Nell’analizzare il complesso rapporto fra giustizia e politica, vanno fatte alcune considerazioni.
Che i giudici, in quanto cittadini, votino, e possano avere dunque simpatie politiche o possano simpatizzare per un partito o un altro, ci mancherebbe, è normale!
E arrivo a pensare pure, di contro, che un politico, se mai dovesse essere giudicato, da privato cittadino, possa preferire, a pelle, un giudice rispetto un altro, come quando all’università il giorno dell’esame potevamo preferire capitare sotto le grinfie di un Professore o di un altro.
Su questo concetto permettetemi una divagazione, con cui vorrei provare a spiegare come certi meccanismi non propri della politica si siano da tempo impossessati di quest’aula.
Ci sono arbitri con cui la mia squadra del cuore, vince più spesso, con altri arbitri invece perde più spesso… sono solo statistiche ovviamente, per carità… ad oggi sono solo statistiche… salvo che (e fino al momento in cui) esploda un caso, dove, prove alla mano, si provi la malafede di qualcuno. Supponiamo che avvenga, a un certo punto, che si scopra una malafede, una macchinazione, per cui si scopra che per anni quegli arbitraggi più o meno benevoli, non erano frutto di casualità, ma sostanza di un progetto criminale, ovvero che chi doveva garantire la giustizia non lo faceva, e poniamo il caso, se stiamo parlando di calcio, di chiamare tutto ciò Calciopoli.
Da tifoso, vi confesso di aver pensato alla malafede almeno 8 anni prima dello scoppio del caso Calciopoli. E di aver per anni fatto, senza nessuna prova e nessuna sentenza a conforto, senza bisogno di prove, congetture e continui rimandi alla malafede, alla macchinazione.
Da tifoso, vi dico altresì che esistono tifosi della squadra alla mia avversa (guarda caso si scontreranno nuovamente proprio domani sera, e questo è davvero un caso) che pur essendo passati 12 anni dallo scoppio del caso e dalle sentenze (civili e sportive) che ne sono seguite, negano ancora che quegli scandali siano avvenuti, o in subordine si difendono dietro al “così fan tutti”, oppure alla frase “era una sentenza già scritta”. Può essere, e forse, anche se non lo credo, possono avere ragione pure loro.
Questo per dire cosa? Che il tifoso ha un grande privilegio, insito nel suo status: può dire tutto e il contrario di tutto, può rispettare le sentenze e può non rispettarle, può leggerne un pezzo, tutte, può guardare la realtà da orbo da miope da cieco o da ipervedente. Può fregarsene dei ruoli istituzionali e porsi sullo stesso piano dell’arbitro che giudica o del giudice che giudica il suo operato.
Io adoro questo status di estrema libertà del tifoso, che è il contrario della Responsabilità: è un forte elemento identitario e culturale di chi abita nella penisola italica, che fornisce utili argomenti per sciogliere il ghiaccio con un vecchio amico che non si vede da un po’ o con i colleghi il lunedì mattina.
Se il tifoso, però, perde di vista il fatto che il calcio è sì la cosa più importante fra quelle frivole, ma è la cosa più frivola fra quelle importanti, se perde di vista questo, può inasprirsi, può alzare la voce, può iniziare a esercitare violenza verbale, fare invasioni di campo, può auto autorizzarsi la più bieca maleducazione, le intemperie, fino alle violenze fisiche.
La responsabilità delle proprie azioni, delle proprie parole, è il sale della differenza sostanziale fra chi ricopre un ruolo istituzionale e chi è tifoso, fra chi è uomo di stato, o almeno prova a fare il suo meglio per esserlo, e chi è un hooligan.
Siamo uomini delle istituzioni o tifosi? Quando entriamo in un organismo istituzionale, siamo uomini delle istituzioni o quattro amici al bar?? Quando presediamo un Organo dello Stato, tipo la Commissione Affari di Giustizia, riusciamo a distinguere lo status di tifoso dagli obblighi, dai doveri, in capo a una figura istituzionale di tale livello?
Chi e che cosa ha permesso che si arrivasse a tollerare che la presenza del Magistrato Dirigente in audizione in Commissione Affari di Giustizia, che ha un’importante rilievo nei rapporti fra poteri diversi dello Stato, diventasse un teatrino con domande (casualmente di membri di opposizione) e risposte basate sui “si dice”, sulle amicizie, persino sulle relazioni private? In un contesto, in un paese di 30.000 abitanti, dove tutti conoscono tutti e dove ognuno di noi può avere mille legami di varia natura con tutti..
A chi giova sapere, in una commissione che avrebbe altri scopi, segreti da confessionale? O al limite da obbligo di denuncia?
Se ciò avviene (e sarebbe interessante capire quando questa reinterpretazione della presenza del Magistrato Dirigente in Commissione sia iniziata e perchè) siamo sicuri che questa condotta di tale figura non possa considerarsi come tentativo di innescare reazioni politiche, come poi è successo? E quindi, in qualche modo, influenzando l’agenda della politica?
Il tribunale può influenzare l’agenda politica, ci mancherebbe, ma con sentenze, con atti cioè espressi nel rispetto dei ruoli e nell’assunzione delle proprie Responsabilità.
Sennò si confondono piani inconciliabili e che devono essere distinti non solo a tutela dei giudici, ma anche a tutela dei politici, che non possono essere sereni nel considerare scelte importanti dinnanzi ai “si dice”, o ai “pare” oppure alle chiacchere da bar. E la politica è pure in difficoltà quando compaiono su quel tavolo, notizie di reato che se per primo il magistrato dirigente non ha denunciato nelle sedi opportune, chi deve farlo? Notizie di reato, supportate non si sa da quali evidenze, che magari riguardano un altro giudice? Un politico? Questo sì che è un corto circuito!
Ancora più grave è quando si adombrano responsabilità di condotte illegali a personaggi politici in tale contesto, falsando gli equilibri delle valutazioni politiche, senza garantire le minime garanzie, a persone assenti e impossibilitate a difendersi.
Serve a questo la Commissione Affari di Giustizia? Evidentemente, a giudicare dai membri di opposizione, sì.
A parere della stragrande maggioranza dei giudici, che hanno potuto verificare quelle condotte, e che hanno dato modo allo stesso magistrato dirigente di spiegarne le ragioni, no, non può essere quello un comportamento che si ponga in linea con la fiducia di cui quella figura necessita da parte di chi lo nomina.
E qui vorrei fare un rimando al cosiddetto colpo di stato.
Nel momento in cui il Magistrato Dirigente compie quella scelta, di porsi in quella Commissione in quel modo, portando un documento scritto di quella portata, cosa si poteva fare?
La maggioranza della Commissione ha scelto di indirizzarsi nel solco di quello che poteva essere fatto, rispettando leggi e procedure, e soprattutto muovendosi nell’alveo dei principi democratici.
La maggioranza della Commissione voleva portare la questione ai reggenti, affinchè nel loro ruolo di garanti e di presidenti del consiglio giudiziario potessero darne un seguito possibile. Non potendo deliberarlo in seno alla Commissione stessa (paralizzata dal rifiuto del suo Presidente di svolgere un dovere del suo ufficio) si è rivolta alla Reggenza, fino alla convocazione legittima del Consiglio d’urgenza (poiché la Reggenza può farlo, e la commissione deve riferire al Consiglio), poi il consiglio a maggioranza ha coinvolto il plenario, che a maggioranza ha coinvolto l’ordinario, cha a maggioranza ha espresso pareri fatti propri dalla maggioranza del Plenario che ha assunto le decisioni conseguente.
Anche qui: non sono un giurista, ma ho sempre saputo che nel nostro diritto ciò che è vietato generalmente è espresso, non mi risulta che ci sia espressa, nel nostro Ordinamento, né l’irrevocabilità dell’incarico di Magistrato Dirigente, né alcun vincolo di segretezza della Commissione Affari di Giustizia. Eppure anche di questo si è sentito straparlare.
Ho illustrato il percorso compiuto nell’alveo degli organi istituzionali.
Ad oggi, non è ancora chiaro, secondo chi contesta questa scelta, cosa si sarebbe potuto/dovuto fare. Cosa volevate che si facesse a quel punto? Che si condizionasse la vita del nostro Stato, sulla base di verità “a senso unico”?
Vogliamo dare tutto questo potere a un ruolo o a una persona?
Che poi nel caso in questione la dott.ssa Pierfelici sia persona seria, preparata, che ha dimostrato attaccamento al bene del nostro Paese e ha contributo a migliorarlo è fuori di dubbio.
Ma qui il livello della mia preoccupazione è un altro.
Io credo che si potesse gestire questa fase con maggiore responsabilità e senza schiamazzi, denunce, dimissioni, ritiro di dimissioni, rifiuto di compiere il proprio ruolo istituzionale, e di contro attacco frontale e cruento ad ogni percorso indirizzato sul piano istituzionale.
Ma ahimè ha prevalso lo spirito del tifoso.. che ha sempre ragione lui, e non è tenuto a sottostare alle regole, che in democrazia prevedono che la responsabilità delle scelte sia in quota alla maggioranza.
Non si può, con la stessa disinvoltura con cui il tifoso urla al rigore negato, e invoca l’utilizzo del Var, rivolgersi al Collegio Garante.
Non voglio dire che questo sia stato fatto e non metto neanche in discussione il diritto di rivolgersi a tale organismo per tutti i casi previsti dalla Legge. Ma 7 volte in meno di 2 anni, per costituzionalità dei Decreti, 2 volte per conflitti di attribuzione, ne è stato invocato l’intervento contro una legge elettorale che fino al giorno prima andava bene, è stato chiesto l’intervento dei Garanti in un caso su un Sindacato della Reggenza, in ultimo su due referendum dal vago sapore politico..
7 a 0… 7 volte i garanti hanno emesso un parere o una sentenza, diciamo così, sgradita all’opposizione, 0 volte è stato ammesso il ricorso..
Allora non va bene neanche quell’organo? O forse si è scelto di giocare una delicata partita fuori dalle regole istituzionali?
E questo perché? Per convinzione che siamo davvero in un regime di sospensione del diritto? O per vigliaccheria, o sottomissione, o necessità o gratitudine? Questo non so dirlo, oggi non so ancora immaginarlo.
Però io mi chiedo, in questo scontro che coinvolge Consiglio, Commissione Affari Giustizia, Consiglio Giudiziario, la politica che non vuole fare il tifo, ma vuole servire lo Stato dentro le regole dello Stato, che vuole giocare alla democrazia (dove vince la maggioranza): e badate bene: quando non c’è l’accordo che sia la maggioranza a decidere è non è arroganza, non è autoreferenzialità, non è prepotenza, non è abuso di potere, e non è nemmeno colpo di stato.
Il colpo di Stato è il contrario, semmai. Tentato, sventato, tuttora incombente? Anche questa la pongo come domanda.
La vera politica rispetta le sentenze, non le anticipa, non sfrutta mezze verità, non strumentalizza a senso unico solo ciò che gli fa comodo, non si comporta come tifosi rissosi.
Che poi, lasciatemi dire con amarezza, che fra qualche tifoso di opposizione si celi qualche hooligan, per cui la violenza (verbale o fisica che sia) è pratica legittima ne prendiamo atto e non si commenta…anzi si commenta da sé.
Non mi stupirei, ma questo mi auguro rimanga una provocazione disattesa che per le stesse persone, sia forse preferibile che di fronte alla democrazia che premia la maggioranza nei propri processi decisionali, faccia tornare nostalgia di regimi diversi, dove chi non è con me è contro di me.
In tutto questo parlare e ragionare, non ho mai nominato il Segretario Renzi, che mi perdonerà le ricorrenti similitudini a un modo, quello del tifo pallonaro, a lui molto distante, ma del cui clima lui stesso è rimasta vittima spiazzata.
Poiché chi, come lui, da uomo di Stato e delle Istituzioni, e con lui il Presidente della Commissione Mimma Zavoli, ha seguito il buonsenso, le leggi, il rispetto della maggioranza, le deliberazioni e le libere determinazioni di Organismi che in democrazia decidono a maggioranza.
Come deve fare un Segretario di Stato alla Giustizia.
Segretario, il suo stile, il suo modo di intendere il suo rapporto con il tribunale, non è forse sintonizzato con i modelli di comunicazione e di azione di questi anni, ma sicuramente sarà riconosciuto coerente con i valori centenari della nostra base Costituzionale.
A lei e alle persone nei ruoli chiave per un corretto esercizio della giustizia (e cito qui Il professor Guzzetta) va un sincero augurio di buon lavoro, nel supremo interesse del popolo sammarinese e delle sue istituzioni democratiche.