Condividiamo pienamente la posizione espressa dal presidente della Consulta per l’Informazione che, nel commentare il recente rinvio a giudizio del quotidiano l’Informazione, ha detto: “I giornalisti rinviati a giudizio costituiscono un pericolo… è sicuramente un campanello d’allarme sul quale come Consulta abbiamo deciso di confrontarci al più presto, per valutare i contorni di un episodio che riteniamo possa costituire un pericoloso precedente”.
Che paese è quello in cui i responsabili di un giornale vengono rinviati a giudizio per avere pubblicato una sentenza (in questo caso un Decreto di archiviazione) pubblica che contiene informazioni sul comportamento e sulle azioni di persone rivestite di ruoli pubblici?
Qui non conta nulla il giudizio che si può avere sul giudice che ha emesso quel Decreto o sul Presidente di Banca Centrale, protagonista dei fatti descritti in quell’archiviazione, o ancora sul consulente Gozi che, secondo il Decreto, avrebbe goduto di una lauta consulenza di BCSM senza sostanzialmente fare particolari attività. Non conta nemmeno l’opinione che ciascuno può avere sulla linea editoriale del giornale che ha pubblicato la notizia.
Questi sono tutti elementi di contorno. Ciò che impressiona, e impaurisce, è che viene ritenuto un reato (potenziale) la pubblicazione di notizie pubbliche di interesse pubblico, per le quali un giornale ha chiesto l’accesso al fascicolo secondo le procedure di legge e che ha ritenuto di pubblicare.
Non stiamo parlando di documenti riservati, trafugati illeggitimamente o di delazioni anonime, ma di documenti pubblici ottenuti secondo procedure di legge: da quando è diventato reato pubblicare documenti che hanno queste caratteristiche e rivestono pubblico interesse?
Dove va a finire il diritto all’informazione, il ruolo dei giornali e dei giornalisti se, quando la pubblicazione di notizie riguarda le persone vicine o gradite al potere – delle quali vengono sindacati i comportamenti – gli operatori dell’informazione vengono rinviati a giudizio come se avessero commesso dei reati?
Che paese è quello in cui il governo di turno non solo non si indigna di fronte a queste derive ma anzi le asseconda e le favorisce?
Qual è il modello di Stato a cui si vuole arrivare? Un modello dove si può rendere noto solo ciò che è gradito al potere e invece si tace sul resto, altrimenti scattano le ritorsioni giudiziarie?
Ci auguriamo che il proseguo del giudizio rimetta al giusto posto i basilari principi democratici di uno Stato liberale, tra cui il diritto all’informazione (anche quella che non piace a chi comanda), ma non possiamo fare a meno di denunciare davanti ai cittadini che stiamo veramente incamminandoci su una brutta china andando avanti in questo modo.