Ad oltre tre anni dall’insediamento dell’attuale governo è il momento di fare qualche considerazione politica circonstanziata sul suo operato. Ormai si è palesato, in maniera abbastanza evidente, che una volta conseguito l’obiettivo prioritario di rivoluzionare il Tribunale con la cosiddetta “terra da ceci” profetizzata da Gabriele Gatti, il governo ha perso da tempo la propria “forza propulsiva”. Del resto, se corrisponde al vero che l’attuale compagine governativa, come rivelato qualche tempo fa, è stata formata nell’ufficio di un magistrato del Tribunale, inevitabilmente non poteva che essere il Tribunale l’urgenza fondamentale di questo governo. Dopo che il Collegio Garante ha modificato radicalmente – rispetto alla giurisprudenza consolidata – il concetto di riciclaggio, la sentenza in primo grado del processo Mazzini è stata inevitabilmente depotenziata, con l’aggravante che Collegio Garante era già stato nominato interamente, fatto senza precedenti, dalla sola maggioranza di governo. Per il resto, in Tribunale permangono molti problemi di operatività di non poco conto, tuttora irrisolti se non peggiorati. Peggio ancora è il fatto che il Tribunale è diventato il crocevia di un numero spropositato di denunce, spesso a sfondo politico, per colpire avversari ed intimidire chiunque, anche semplici cittadini che osano esprimere qualche opinione non in linea con i desiderata governativi.
Dal punto di vista delle finanze dello Stato, questo governo ha ormai consolidato il pesante ricorso all’indebitamento pubblico, divenuto strutturale. Il ricorso all’indebitamento era ormai inevitabile, alla luce soprattutto dei dissesti bancari che hanno flagellato la nostra Repubblica e che discendono in gran parte dai famigerati anni novanta in cui “stavamo bene”, ma è stato amplificato da questo governo che ha aggiunto altri 340 milioni di debiti per foraggiare una spesa corrente che non ha minimamente ridotto.
Il fatto è che il debito pubblico, che ormai eccede di molto il miliardo di euro, non è stato accompagnato dagli interventi di riforma per renderlo sostenibile. Nonostante le molteplici sollecitazioni, anche da parte delle organizzazioni sindacali e di categoria, sui nodi fondamentali della previdenza, sui costi della pubblica amministrazione, sulla riforma fiscale delle imposte dirette ed indirette ed altro ancora, si è intervenuti solo parzialmente o per nulla. Ormai, con un bilancio pubblico che perde circa settanta milioni di euro all’anno, la Repubblica di San Marino è prigioniera di chi le presta i soldi. Non sempre, peraltro, in maniera trasparente.
Per quanto attiene alla operatività del governo negli svariati settori della scuola, del territorio, del turismo ed altro ancora, la sensazione predominante è quella dell’improvvisazione e dell’incompetenza. La sanità pubblica è in condizioni fortemente degradate, a cominciare dalla medicina sul territorio per comprendere anche quella ospedaliera. Manca un progetto realistico e concreto di rilancio economico del Paese. Piuttosto ci si affida al “cavaliere bianco” di turno, la soluzione miracolistica con una lunga serie di inquietanti dubbi e pericoli per la nostra bistrattata sovranità.
A proposito di sovranità, risulta alquanto evidente il progressivo deterioramento delle prerogative del Consiglio Grande e Generale, il cui ruolo di legislatore è stato fortemente ridimensionato con il ricorso abnorme alla decretazione ed a causa di una autoreferenzialità del governo tale per cui il ruolo del consigliere è spesso ridotto a semplice “spingi bottone” inconsapevole. La recente vicenda dell’iter legislativo della legge sull’informazione, per la quale si sono manifestate interferenze imbarazzanti ed assolutamente improprie sulle prerogative ed autonomia dei gruppi consiliari, ha oltremodo sottolineato questa deriva, ben più pericolosa delle cialtronesche accuse di colpo di stato inventate e messe in atto nella precedente legislatura.
Altrettanto distruttiva è risultata la progressiva occupazione di ruoli amministrativi – da parte di Segretari di Stato e di altri esponenti politici – nelle aziende pubbliche, negli uffici statali ed anche nella stessa sanità, con i pessimi risultati che sono sotto gli occhi di tutti i cittadini.
Di fronte a queste e ad altre enormi difficoltà che rischiano di compromettere seriamente il futuro del nostro Paese, a poco servono i fantasiosi e raffazzonati assemblaggi di nuovi contenitori politici o le ennesime rifondazioni ideologiche. Tantomeno il ricorso al clientelismo spicciolo, pagato con il debito pubblico, per puntellare il consenso governativo. Le sfide per il futuro richiedono ben altro, a cominciare dal riportare il Consiglio Grande e Generale al suo ruolo istituzionale di reale titolare del potere legislativo e sede del confronto politico. Poi occorrerebbero una serie di riflessioni sui percorsi necessari per mettere in sicurezza il futuro del Paese fondato sulle scelte e non sulle vuote promesse.
Repubblica Futura da tempo reclama questa svolta politica (con poco successo) come atto di responsabilità verso il Paese. Pensare di continuare sulla falsariga di quando “stavamo bene” avrebbe conseguenze nefaste sul futuro di tutti i sammarinesi.