Solo poche semplici considerazioni, fondate sulla realtà di ciò che sta accadendo intorno a noi.
Nella prima parte del CGG delle scorse ore e degli scorsi giorni la parola chiave, ormai logora, è stata dialogo. Dialogo deriva dal greco diá logos: la parola che passa attraverso. Attraverso le persone, entra nelle persone per poter esprimere concetti o sentimenti o idee. E poi ne dovrebbe uscire e tornare arricchita. Bellissimo.
Quando il capogruppo di un partito di opposizione urla 4-5 volte stupidi al microfono e finito il tempo continua ancora a urlare stupidi: la parola può attraversare il ricevente di queste stesse parole ed essere restituita arricchita?
Quando un membro dello stesso partito di opposizione, figura icastica del gruppo e si può
dire, dell’intera opposizione, serpeggia bifidamente una volta no e due si (cito) “che sicuramente qualcosina ritorna in cambio“teorizzando con tinte e sbiadite cosa, delle tangenti? il dialogo può essere costruito? Tiri fuori dal cassetto, visto che lui ha sempre informazioni di prima mano, i fogli, coi nomi e con le cifre delle tangenti date e ricevute! O abbia la decenza di soprassedere a certe affermazioni.
Del resto, talora, quando uno esagera, è lecito è umano giocare al ribasso, fare un passo indietro, o se non fosse – cito – da “uomini veri“un passo a lato. Invece anche oggi qualcuno ribadisce tutto ciò che ha fatto e detto (ricordo che l’Eccellentissima Reggenza ha dovuto abbandonare l’aula, nello scorso consiglio) e anzi che faranno branco ho cercato, ma non ho trovato, alcuna accezione positiva nel fare branco.
Io inizio a dubitare della vostra volontà (capacità?) di dialogo. Però io potrei non capire.
Del resto un consigliere ipertrofico del medesimo partito di opposizione ci dice su fb prima di bloccarci nella conversazione, che mescoliamo nel torbido e che (nello specifico io) proprio non capiamo le cose. Non ce ne fa una colpa. Prende atto. Come farebbe un professionista, uno psichiatra.
E allora qual è il vostro metodo di dialogare?
Siamo, ahi noi, ormai immersi sino al collo dalla Cultura twittaiola o facebokkiana dove un giorno puoi dire una cosa e il giorno dopo smentirla e dire il contrario, senza che nemmeno i lettori, anzi i visualizzatori, si accorgano.
L’errore è trasferire questa “cultura” nel mondo reale. Perché Facebook o Twitter, ebbene sì, non sono il mondo reale. E nemmeno il microfono con la Lucina rossa è il mondo reale. Nel mondo reale le parole non si possono spargere come il sale quando nevica. Così, perché è bello ricevere una faccina che ride o un pollice alto.
Perché tra le persone, le parole hanno un valore, un peso e soprattutto hanno dietro di loro una faccia che le pronuncia. Questo è il dialogo. Perché altrimenti qui dentro NON STIAMO FACENDO IL BENE DI NESSUNO. Perché altrimenti qui dentro perdiamo il tempo. Urliamo al dialogo con l’intento premeditato proprio di NON DIALOGARE.
E allora si perdono giornate nei commi comunicazione. E allora bisogna diventare, anziché parlamentari al servizio di tutti, artificieri delle parole, passare le ore a disinnescare le parole degli altri.
E ogni attacco è il motorino d’avviamento per il prossimo attacco. C’è quello che sbraita, quello che pontifica, quello che emette sentenze inappellabili quello che filosofeggia. Tutto calcolato e costruito. Sempre ed ogni volta. Un po’ stucchevole dopo 18 mesi.
Si perché quei 18 mesi, dal 4 dicembre 2016, certo che sono passati per la maggioranza ma sono passati anche per l’opposizione, che non ha fatto altro che costruire le basi dell’antidialogo che ci ritroviamo oggi.
Volete dare una mano? Ho sentito più di un intervento dagli scranni della DC in questa direzione.
Volete tendere una mano? Tendetela sul serio allora la mano. Oppure conviene che la teniate elegantemente in tasca. Quindi mi sento di dover tranquillizzare il consigliere Grazia Zafferani, che spesso sembra ossessionata dall’essere considerata “brutta e cattiva” ripetendo il frame decine di volte nei suoi interventi.
Io non credo, nessuno crede che voi, come lei dice, siate tutti brutti e cattivi. Piuttosto io credo che se in un bicchier d’acqua pura ci si metta anche solo una goccia di veleno, alla fine tutta l’;acqua si avvelena.
Vogliamo dialogare? Dialoghiamo.
Anziché diventare blindati e ignifughi non appena questo o quel consigliere o questo o quel segretario accenda il microfono. Spesso qui dentro mi sembra di trovarmi in un salotto intellettuale di critici e storici della letteratura italiana o dell’arte. C’è chi si può permettere Massimo Cacciari e chi no… ogni giorno è l’esegesi dei testi e delle parole. L’interpretazione critica (a-critica?) finalizzata alla comprensione del significato, ovviamente tirato dalla propria parte. Di continuo. Esegesi quotidiana.
Interpretazione di ordinanze di magistrati, interpretazione delle leggi, interpretazione della storia e della letteratura sammarinese, talora interpretazione delle intenzioni. A breve, perché limitarsi?, anche interpretazione di una risonanza magnetica cerebrale o delle analisi del sangue.
In Cardelli balena l’idea di una sfiducia in seno alla maggioranza, di uno scollamento dal governo o dalla SdS Sanità. Forse questo sarebbe per lui uno spiraglio per entrare e tentare di sovvertire l’equilibrio. non sarà così. Ma l’occasione è troppo ghiotta per le opposizioni per entrarci continuamente. Ma non sarà questo il loro grimaldello.
Allora io mi chiedo – e lo dico da umile spingibottoni, soldatino, colluso, mafioso, stupido, in malafede e chiuso nella stanza insonorizzata dei manicomi, (è sfuggito a Zeppa il 40° anniversario occorso qualche settimana, fa dell’abrogazione della legge 180 Basaglia) – mi chiedo delle due quale?
Se i consiglieri di maggioranza non intervengono sono appiattiti sul governo e inglobano senza battere ciglio ogni pacchetto che viene loro passato.
Se i consiglieri intendono spronare o pungolare il governo, come è nelle facoltà e nei doveri di una maggioranza, allora ci sono le crepe dentro adesso.sm, e allora via a richiamare nomi antichi per tentare di far stridere ciò che oggi invece gira oliato: AP, SU, UPR.
Nessuno nega i problemi acuti nell’ospedale. Nessuno può, nessuno deve. Il tempo per risolverli è adesso. Sulla legge che il Segretario Santi porterà in CGG a luglio stiamo lavorando ogni giorno e ogni sera. Come è dovuto.
Ma non esistono malattie gravi curabili con due pillole. La complessità della malattia è proporzionale alla complessità della cura, di solito, almeno nella medicina ufficiale. Ricette semplici, sfere magiche e stregonerie lasciamole ai prestigiatori.
E lasciamo ad altri anche il comunicato DIM “colpi di mannaia sull’iss, sul clientelismo e corruzione e le grinfie dei partiti”. Non e’questo il problema. Non è questo il punto. Così come non è il punto, ridurre (Cardelli) tutto alla retribuzione o alla libera professione. Soffiare su questo Cardelli alimenta il fuoco sulla pancia dei cittadini, specie chi acquisisce informazioni dai social. Ma non cada in questa tentazione, perché non è questo il problema.
Il problema c’entra con la serenità degli operatori. Il problema c’entra con la dignità degli operatori, violate ormai da troppi anni. Ripristinare la qualità della professione medica in Repubblica è un diritto, per chi svolge questo lavoro e per chi ad oggi si adopera, medici e infermieri, per mantenere aperto l’ospedale e i suoi servizi.
La legge, in prima lettura a luglio, volge a questo. Non è forse dignitoso e di qualità, per tutti i medici, avere uno stesso contratto, uno stesso stipendio, uno stesso confine in cui svolgere la libera professione, una regolazione anche rigida ma equa?
Questo chiedono i medici, questo chiedono i direttori. Nonostante tutto ciò che voglia essere travisato ad arte dai loro comunicati. Qualche ritardo? Ok. Va bene. Qualche tentennamento? Va bene.
Però adesso, almeno sulla sanità, cerchiamo di andare dritti. Tutti.
Usiamo questo argomento, troppo importante per ognuno, dai neonati agli anziani, come banco di prova per i nostri concittadini. Dimostriamo una volta che riusciamo, se lo vogliamo, a dialogare costruendo o costruire dialogando. Almeno su questo, ognuno faccia il suo. Non di più.
Basterebbe ognuno la propria parte.