L’Istanza d’Arengo n. 4, discussa ieri in Consiglio Grande e Generale, chiedeva che sia esplicitato il principio della dignità e dell’inviolabilità della vita umana, dal concepimento sino alla sua fine naturale. Su questo complesso tema, pubblichiamo integralmente l’intervento del nostro consigliere Emmanuel Gasperoni.
Chiedo scusa agli istanti con la promessa di entrare immediatamente nel cuore dell’argomento ma ritengo doveroso sottrarre una manciata di secondi, sicuramente fuori tempo, probabilmente fuori luogo, per una risposta differita ad una affermazione, che non è stata certo, e sia chiaro, una accusa nominale, dunque senza polemica residua, al consigliere Roberto Ciavatta.
Credo che fornire un angolo di lettura tecnico in merito ad un argomento specifico, che sia un’istanza d’Arengo o altro, rappresenti un plusvalore, e non un mero esercizio accademico, di riduzione e svilimento del tema stesso. Chiunque per professione e formazione abbia o abbia avuto la fortuna di potersi specializzare nel proprio campo di azione, ha bene a mente quante sia difficile conoscere al meglio ed in profondità ogni argomento, e di come i dubbi e gli interrogativi aumentino in maniera direttamente proporzionale alla specializzazione stessa.
Talora conviene tagliare proprio con un lato tecnico il proprio intervento per onorarne al meglio la trattazione e fornire all’aula e alla cittadinanza che ci ascolta, umiltà e solidità ma al contempo decisione e fermezza in ciò che si afferma.
Credo anche che, e questo è quanto mai vero in medicina ma ne sono convinto per ogni disciplina, sia doveroso iniziare ogni argomentazione dall’eziologia. Trovare e capire le cause di una patologia è il presupposto per capirne l’evoluzione e ben più importante fare una diagnosi e impostare un’adeguata terapia. Quindi anche in questo intervento, a costo di apparire prevedibile o noioso, correrò il rischio: ricorrerò ancora allo stesso identico metodo di invenire. Dunque entriamo nell’argomento.
Certo questa istanza d’Arengo ci costringe, e io direi per fortuna, ad addentrarci in un campo minato, smisurato nelle dimensioni: un tracciato non privo di botole e di doppi fondi in cui stare attenti a non inciampare ma una palestra in cui la Politica (con la P maiuscola) DEVE finalmente addentrarsi. Anzi siamo in ritardo.
La bioetica, in cui l’argomento si inscrive netto, è un tema in cui davvero è difficile sostenere una posizione di ragione o torto, in cui il contraddittorio spesso inaridisce il dibattito, sterilizzandolo a posizioni arroccate, dalle quali è complesso, e peraltro non so nemmeno quanto giusto, distogliere colui o coloro che la pensino in maniera diversa.
Tante e diverse sono le variabili che vi partecipano che il beneficio del dubbio, la libertà di opinione e la forza della propria idea sono inopinabili e insindacabili. Morale, religione, etica, cultura, esperienza, professione, fede, per dirne alcune.
Detto ciò, addentriamoci nel ragionamento: mi scuserete se parto da lontano, dagli albori ma in questo caso come non mai, è indispensabile piantare ben salde delle definizioni, da cui partire e a cui arrivare. Per non perdersi durante il tragitto.
Qualche giorno fa, mia figlia, 8 anni, ripassava scienze. Più precisamente mi ha colpito una pagina: cosa sono gli esseri viventi? Il libro di scienze di terza elementare definisce cosi un essere vivente: “Qualsiasi organismo che NASCE si nutre, cresce, si riproduce e MUORE.” Banalmente ma nemmeno tanto, già da questa definizione per bambini, dirompe tutta la forza intrinseca e inviolabile della vita. Dal suo inizio al suo epilogo.
Due osservazioni su tutte:
- la definizione parla di essere vivente, non essere necessariamente UMANO, aprendo la barriera (ma qui finiremmo lontani e fuori tema), della difesa di OGNI essere vivente,
- in qualunque maniera possiamo definire la vita, declinata e colorata con ogni lente e filtro (laici e agnostici, o religiosi e clericali), dovremo PER FORZA considerarne come parti essenziali, intime, strutturali, fondanti e non separabili, la nascita e la morte.
Considerando ogni essere umano un’entità unica e irripetibile, ogni forma di vita va tutelata e difesa, dalla nascita alla morte. O ancora meglio: NELLA nascita e NELLA morte.
E se, come è ovvio l’essere vivente, per così dire, durante la vita si autoregola e automantiene, attraverso la facoltà inalienabile del libero arbitrio ma dentro i perimetri che le legislazioni pongono, tutto diviene meno certo, meno franco, dai contorni più sfuggenti ai due estremi della vita:
- sia perché in entrambe le fasi (nascita e morte) la vita stessa si manifesta per la sua più estrema fragilità e limitata capacità di autodifesa,
- sia perché ogni forma e tentativo di legislazione, per i motivi di cui sopra, in queste terre di mezzo può divenire poco tutelante, non totalmente contenitiva e protettiva (specie per la nascita) e al contrario eccessivamente limitante, al limite del vincolo claustrofobico o del tabù di cui nemmeno si può parlare, (specie per la morte).
Paradossale quindi che proprio le due fasi che necessitino di più tutela siano le più complesse da tutelare.
Da qui si impone uno sforzo, dal quale nessuno di coloro, noi compresi, che hanno istituzionalmente il dovere di farlo, può e deve esimersi, (ciascuno, questo è certo, mantenendo fede alla propria ideologia e libertà di pensiero): dignità e inviolabilità della vita umana senza discriminazioni, sono pertanto intrinseche e inscindibili dal concetto di vita medesimo.
Quanto scritto dagli istanti non solo è accoglibile – ed esprimo un pensiero personale e libero ma è inevitabile farlo – non c’è altra scelta. E quindi, per entrare nel tecnico, qualche pensiero su inizio e fine vita.
In termini di inizio vita, di interruzione volontaria di gravidanza e di depenalizzazione vanno dati atto e merito all’aula, all’intera aula, di avere (nelle scorse sedute) portato il tema alla discussione politica, fatto sicuramente storico per la Repubblica di San Marino. Tra l’altro va ricordata e riconosciuta anche la sensibilità all’argomento dei nostri concittadini, i quali, attraverso diverse istanze d’Arengo e proposte di legge di iniziativa popolare ci hanno invitato a iniziare direi finalmente la discussione.
Non solo.
Ci siamo impegnati alla discussione nelle commissioni competenti, e per certi passaggi nevralgici, abbiamo accolto con responsabilità la proposta, pervenuta da una parte delle forze d’opposizione (il consigliere Valentini e PDCS), di sessioni congiunte delle commissioni competenti (I e IV), nonché in un confronto con tutti i gruppi consiliari.
Ben diverso invece è lo stato dell’arte della normativa esistente sul fine vita. O meglio IN-esistente.
E di nuovo entro, con buona pace di qualcuno, nel tecnico.
Chiunque, e io sono uno di quelli per professione, ma purtroppo vi devono fare i conti i pazienti e i loro parenti, chiunque dicevo si trovi ad avere a che fare quotidianamente con le problematiche del fine vita nella nostra Repubblica, sa bene di trovarsi ben presto in una terra di frontiera, in un far west deregolato, in una pericolosa linea di frontiera in cui, quando va bene tutto è lasciato al buonsenso, alla scienza e alla coscienza dell’operatore sanitario,
Ma quando va male tutto invece è lasciato all’improvvisazione e al caso contingente o all’arroccamento “sulla medicina difensiva”: sul “rimango sul sicuro, faccio o mi astengo solo per non aver problemi dopo”. Condizioni queste ultime pericolosissime, non degne di uno Stato che si professi civile. E non tanto, sia chiaro, a tutela del sanitario o professionista ma a tutela dell’essere vivente della vita e del paziente.
Mi riferisco, e per tirannia di tempo rimarrò ai macroargomenti, ben lieto però di relazionare e confrontarmi coi commissari nella commissione competente ma anche con i cittadini o con qualunque associazione ne faccia richiesta:
- Alla pressochè totale vacanza di legislazione in materia di fine vita: diviene impossibile ad esempio, nella vita quotidiana di un ospedale e ancora più intricato, di una rianimazione, poter far diagnosi di morte cerebrale. E di conseguenza della configurazione dell’accanimento terapeutico. Se torniamo un attimo a ciò che si diceva all’inizio, se è vero come è vero che anche la morte faccia parte della vita dobbiamo tutelarne e garantirne fino all’ultimo la qualità e la dignità. È UN DOVERE! L’Onere e la responsabilità della decisione, in totale mancanza di tutela normativa, di una scelta terapeutica piuttosto che un’altra o ancora di più l’ASTENSIONE dalla terapia, vi assicuro che quotidianamente hanno un peso sulle spalle dei medici e ancora più dei rianimatori. Per non parlare, è ovvio, della stessa condizione vista dall’angolazione del paziente.
- Se come appena detto manca una normativa che definisca la morte cerebrale, diventa impossibile, anzi illegale solo parlare di donazione ed espianto organi. Altro diritto di ogni cittadino nonché un dovere per un Ospedale di Stato. Senza una definizione legale di morte cerebrale non possono essere messe in atto le pratiche cliniche e strumentali per l’avvio dell’espianto. Per dovere di verità, in questo sottocapitolo non partiamo da zero. Anzi. Esiste un apposito comitato di bioetica in forza all’Ospedale, e una squadra plurispeciliastica é già al lavoro in questa direzione.
- Il Living will: il Testamento biologico. Altro argomento spinoso. Cioè in sostanza la possibilità che ognuno di noi ha, in completo benessere psicofisico, di poter decidere, in caso di evento clinico (cerebrale) avverso ed infausto, di non essere rianimato e di non cadere vittima, di alcuna forma di accanimento e aggressività terapeutica. Al di là della libertà di coscienza in merito, (opinione personale: un conto è immaginare in pieno benessere di trovarsi in una condizione clinica severa e ragionarci; un conto è trovarcisi davvero); ma se non vogliamo sindacare sulla libertà di scelta di ciascuno, se vogliamo garantire un Living will dobbiamo necessariamente normare e definire il fine vita.
- Infine, in un climax montante, non possiamo non accennare, (così come nella discussione sull’embrione entra l’interruzione volontaria di gravidanza) all’eutanasia. Parola che spesso solo a pronunciarla genera timore reverenziale per non dire preconcetto o acefalo.
In altre parole: la macchina politica si è messa in moto. E garantendo il metodo più snello ed efficiente, ma al contempo puntuale e senza sbavature, porteremo a termine ciò che i concittadini ci hanno chiesto in un progetto ambizioso, di portata epocale, non c’è timore nell’affermarlo, che richiederà tempo, confronto, scontro se sarà necessario. Ma condiviso più trasversalmente possibile con ciascuna forza politica. Poiché l’obiettivo è comune ed è più in alto.
Concludo con una oculata provocazione, prendendo in prestito una frase di un noto scienziato italiano contemporaneo.
La Medicina spesso “non si prende cura” del paziente quando non può più guarire. In tal modo è specchio della società utilitaristica ed egoistica in cui vive.
S. Garattini